Io non ho mai amato le grandi città e da quando ero stata in Normandia per la tesi mi ero innamorata dei meli in fiore e così proposi a mio marito di andare a vivere in campagna. Antonello ed io cominciammo a cercare a nord e a sud di Roma. Scoprimmo luoghi bellissimi …

Di fatto io sono nata con la malattia del “rudere da salvare” e il mio amato suocero ne aveva uno magnifico con tanto di ingiunzione della Soprintendenza a fare i necessari lavori, lui aveva anche dodici figli e un solo castello …

Un cognato aveva offerto il “rudere” al FAI e Bagatti Valsecchi aveva risposto che conosceva di fama il monumento e che sarebbe sicuramente venuto. Ma non venne mai.

Così un anno dopo, nel maggio del 1979, mio suocero Enrico Budini Gattai mi vendette il castello di Montecchio Vesponi.

Ero felice e terrorizzata.

Feci tutti gli errori possibili: sbagliai architetti, sbagliai ditta, e con la migliore buona volontà sbagliai anche tutte le scelte fatte per il giardino: le piante, i fiori, i vasi.

I soldi erano sufficienti per rendere vivibile l’ultima casa rimasta dell’antico borgo, la “casa del custode” … ma, come avrei fatto per la casa-torre del giudice, per la grande cinta muraria e per la Torre di Avvistamento con l’annesso Cassero?

Così iniziai la mia battaglia per ottenere  contributi dallo Stato.

Passavo parte del mio tempo in cantiere con gli operai e il resto a Roma ad individuare i funzionari che facevano il caso mio.

Una domenica mattina, mentre girellavo nella zona destinata all’orticello, dei pietroni rotolarono ai miei piedi dall’alto di una delle torri che era stata liberata da un’edera colossale, così grande che qualcuno l’aveva presa per un albero.

Il lavoro era stato fatto con la pia illusione che contributi ed interventi diretti sarebbero arrivati a pioggia.

Invece ci volle del bello e del buono.

Ero talmente presa dalla mia “battaglia” che ad una cena di amici Alfredo De Poi, che da bravo perugino ben conosceva la superba skyline di Montecchio, si offrì di accompagnarmi al Ministero.

Il suo prezioso intervento diede inizio ad una serie di contributi che io seguii passo, passo.

Con i primi contributi potei restaurare la casa-torre del Tribunale dove viveva un antico serpente lungo e grosso che, in mia assenza, fu tragicamente sfrattato dagli operai.

Quindi, grazie ad Alfredo Giacomazzi del Ministero dei BB. CC. e al sindaco di Castiglion Fiorentino Girolamo Presentini arrivò il primo prezioso “intervento diretto” per la zona dell’ingresso.

Negli anni, ottenni altri interventi diretti dello Stato grazie a Nino Grimaldi del Ministero per i LL. PP. e ad Armando Babbini che era orgoglioso di seguire i lavori di consolidamento di un bene storico importante.

Durante una riunione del Lions Club nacque l’idea di un francobollo nella “serie dei Castelli d’Italia”.

Grazie al Direttore del Poligrafico Beppe Lucani, il francobollo fu emesso il 15 marzo 1986 con annullo primo giorno, due poster e foglietto filatelico con il Giovanni Acuto del famoso affresco di Paolo Uccello.

Il 1992 fu un anno speciale.  
Un bel pomeriggio  di fine maggio la Regina Madre d’Inghilterra venne a godersi uno spettacolo offerto dai nostri Sbandieratori. Mentre a settembre mia nipote Cecilia ebbe uno strepitoso ballo dei 18 anni con tanto di valzer e quadriglia e solo la settimana dopo, Inge Manzù prestò opere del marito, recentemente scomparso, per una mostra semplicemente indimenticabile. 
 
A inzio millennio, un miracoloso intervento di consolidamento alla Torre di Avvistamento con i fondi dell’otto per mille salvò Montecchio da un terribile disastro.
L’intervento fu ottenuto grazie anche alle conoscenze giuste di Pietro Afan de Rivera Costaguti, mio secondo marito.
Nel  2006, forte dell’eredità ricevuta da mio padre Alessandro e da mio Zio Pio, decisi di restaurare un tratto di mura castellane.
In quella occasione un folto gruppo di studenti aveva iniziato una campagna di scavo con la Prof. Alessandra Molinari dell’Università di Siena.
 
Quelli furono tempi particolarmente fortunati: restauri di consolidamento alla cinta muraria, scavi archeologici e la copertura con tetto-giardino dei fondi, ovvero dei seminterrati ritrovati delle casette addossate alla cinta muraria. 
 
Quei fondi sono oggi il nostro gioiello! Cinque stanzette in fila con alcuni reperti e con pannelli che illustrano la storia dell’antico borgo fortificato.
 
Un’altra trattò delle strutture architettoniche emerse, poi furono studiati anche vetri e metalli…
I tanti reperti furono poi oggetto di studio con una tesi di dottorato sulle ceramiche.
 
A inizio ottobre, arrivò un piccolo  bassottino a pelo ruvido: Tim du Moulin des Marais, per noi tutti semplicemente Titì. 
Il piccolo parigino era il disperato orfanello del mio vecchio e caro amico Georges Raevski.
Si abituò alla nuova vita, s’impossessò del giardino e ben presto conquistò Tigre la bella gattona di casa.
Titì cominciò subito a controllare i lavori e a punire gli  scansafatiche, mentre accoglieva festante i visitatori ed era particolarmente amato da bimbi e maestre… 
 
Intanto il mio nuovo architetto M. Carolina Zambelli, con le sue brillanti soluzioni, aveva saputo conquistare la fiducia dell’Ispettore di Zona Luca Fedeli, dell”Architetto della Soprintendenza Rossella Sileno,  nonché del severo Soprintendente Agostino Bureca.
 
Infatti, quando fu presentato a Roma nella splendida Libraria di Palazzo Altieri, grazie alla generosa ospitalità di Federica di Napoli Rampolla, il documentario “Oh che bel castello” di Xenia Doualle, vennero tutti!
 
I momenti fortunati vanno e vengono. il Soprintendente fu trasferito a Roma e l’architetto di zona passò ad un altro incarico.
L’ispettore Luca Fedeli ci seguì fino all’ultimo giorno perchè poi, a metà febbraio 2017, andò in pensione.
Da un po’ di anni, siamo tra color che son sospesi: da prima del covid e dopo il covid.
 
Anche se nel giugno 2019, dopo aver partecipato a Napoli al Convegno della Federico II su “I Paesaggi Fortificati”, la Prof. Bianca Gioia Marino portò a Montecchio, per un fine settimana, un gruppo dei suoi studenti che s’incontrò con gli studenti fiorentini della Prof. Grazia Tucci. Una bella esperienza da ripetere presto.
Mentre, a fine 2011, essendomi concessa una crociera, ho fatto la conoscenza di Paolo Bellenghi, che sarebbe diventato il Direttore del nostro Archivio.
 
Lui cominciò ben presto a segnalarmi i documenti antichi che scovava su internet. Ora, il castello possiede un piccolo tesoro oggetto di una mostra che sarà  inaugurata il 25 maggio.
 
Facciamo tante cose, ma la casa del fabbro e quella della torre quadrata ben scavate e ben studiate sono sempre in attesa di avere una degna copertura.
In effetti, accanto al portone d’ingresso ci vorrebbe una biglietteria con book shop. Mentre la casa del fabbro potrebbe ospitare un cucinone con piccolo laboratorio per l’uso e la trasformazione delle nostre erbe medicinali ed aromatiche che Giuseppe Rigio, il nostro esperto botanico, cura con tanto amore. 
In attesa di realizzare nuovi progetti, il castello vive grazie agli archeologi che hanno scavato per 11 anni al castello e che con l’Associazione InCastro gestiscono le aperture al pubblico. 
 
Io, tra le altre incombenze, accolgo il Gruppo Storico e Sbandieratori  di Castiglion Fiorentino che vengono in occasione della cerimonia che il nostro parroco celebra ogni anno per i morti del popolo di Montecchio, per i morti che riposano nella Fossa Comune e per i nostri morti di oggi. 
 
Il primo a lasciarci fu Bista poi Pasquina, Corrado, Irma e per ultima Nunzia. La mia “mammetta toscana”, che mi ha sempre seguito e incoraggiato in un’avventura lunga e impegnativa, insegnandomi tante cose …
 
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